Schiza chi
01


Un popul
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                                        Un popolo

Al duenta poar e serv
quand ill parol in fa più parol
e ill smagna fra dlor.
 
Am sóŋ acòrt ades,
intant c'acord la chitara dal dialet
cla perd na corda al di.
 
Intant che a rappez
la tela tarlà
clè sta fata dai nostar vec
con la lana d' ill nostar piegur.
 
E a sóŋ un puvret:
a go i soldi e an pos brisa spendri;
a go di giujel e an pos brisa regalari
a cant in tla nebia con jal taja.
 
Un puvret
che al teta dal teti sechi
ad so madregna
che l'all ciama fiola par
torl in zir.
Diventa povero e servo
quando le parole non figliano parole
e si mangiano tra di loro.
Me ne accorgo ora,
mentre accordo la chitarra del dialetto
che perde una corda al giorno.

Mentre rappezzo
la tela tarmata
che tesserono i nostri avi
con lana di pecore siciliane.

E sono povero:
ho i danari e non li posso spendere;
i gioielli e non li posso regalare;
il canto nella gabbia con le ali tagliate.

Un povero
che allatta dalle mammelle aride
della madre putativa,
che lo chiama figlio
per scherno.
Un popul
metal in caden
spojal
tapag la boca
l'è ncora libar.
 
Tirag via al lavor
al pasaport
la taula in doa cal magna
al let in doa cal dorm,
l'è ncora un sgnor.
 
Un popul
al duenta poar e serv
quand i groba la lengua
ricevu dai padar:
l'è pers par sempar
 


 















 










































Un popolo
mettetelo in catene
spogliatelo
tappategli la bocca
è ancora libero.

Levategli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco.
 
Un popolo
diventa povero e servo
quando gli rubano la lingua
ricevuta dai padri:
è perso per sempre.
 


































































Nualtar a glevan la mama,
i sla rubà;
la gheva il teti a funtana ad lat
e ig' bueva tuti,
ades ig spuda.
 
A se vanzà la vóœ ad lié,
la cadenza,
la nota basa
d'la tera e dal turment:
questi in si pol brisa rubar
 
In si pol brisa rubar
ma a rasten puvrit e
orfan li stess.
















 
 





















































Noialtri l’avevamo, la madre,
ce la rubarono;
aveva le mammelle a fontana di latte
e ci bevvero tutti,
ora ci sputano.

Ci restò la voce di lei,
la cadenza,
la nota bassa
del suono e del lamento:
queste non ce le possono rubare.

Non ce le possono rubare,
ma restiamo poveri
e orfani lo stesso.